IA e nuove figure professionali: chi rischia e chi no
IA e nuove figure professionali: chi rischia e chi no

Con un gioco di parole spesso utilizzato dai giovani, potremmo dire che c’è chi teme che l’IA possa sostituire il proprio lavoro e chi mente.

La rivoluzione che stiamo vivendo, bisogna dirlo, ha contorni ancora così poco definiti; nessuno sa bene cosa ci riserverà il futuro.

Di fronte a tale sensazione di incertezza, la rete ci offre contenuti di ogni tipo. Si passa da chi sostiene che non ci sia più bisogno dell’uomo, sollevando dubbi filosofici riguardo all’autorealizzazione personale e al futuro dell’umanità, a teorie decisamente più ottimistiche che prevedono la nascita di una fiorente e proficua collaborazione tra uomo e IA.

La verità nessuno può saperla. Quello che possiamo fare noi di Mudra è analizzare l’attuale stato delle cose, declinando criticamente il fenomeno dell’IA e mettendo a disposizione alcune informazioni e strumenti che possano aiutare a sviluppare un pensiero autonomo su quello che, è inutile negarlo, è un passaggio obbligato.

L’IA nel mondo del lavoro è già realtà

Chiariamo subito un punto: l’IA esiste e molte aziende la stanno già utilizzando. Il recente McKinsey Global Survey conferma che circa un terzo delle organizzazioni utilizza regolarmente l’intelligenza artificiale in almeno una funzione aziendale. Inoltre, il 40% degli intervistati prevede di aumentare gli investimenti in tecnologie basate sull’IA.

Infine, gli intervistati prevedono cambiamenti praticamente certi per la forza lavoro, aprendo così il tema della riqualificazione del personale, una questione di cui si parla ormai da un decennio.

Dallo studio McKinsey emerge anche che l’intelligenza artificiale, anche nella sua versione generativa, sta trovando ampia applicazione in ambiti come:

  • Marketing e vendite
  • Sviluppo prodotti
  • Assistenza al cliente
  • Attività di back office

In particolare, l’IA viene utilizzata oggi per il crafting di bozze o documenti di testo, marketing personalizzato, identificazione di tendenze, creazione di nuovi design di prodotto, chatbot e previsione di trend.

E per quanto riguarda il mondo del lavoro? È ancora la società newyorkese McKinsey a prevedere che alcuni settori vedranno un’adozione massiccia di questi tool, come ad esempio il settore bancario, medico e assicurativo. Altri, invece, potrebbero utilizzarla poco o per niente.

È bene tenere presente che, nonostante l’adozione crescente di sistemi basati sull’IA, ci sono ancora diverse sfide da superare completamente. Bisogna risolvere i problemi legati all’inaccuratezza delle risposte/soluzioni talvolta fornite dall’IA e capire come evitare di infrangere la proprietà intellettuale o violare la privacy degli individui.

Infine, l’impossibilità di replicare qualità umane come la fantasia, l’immaginazione, la capacità di discernimento, legata all’esperienza e vissuto personale, rende alcuni prodotti dell’IA meno impattanti, anche se tecnicamente corretti.

I lavoratori che rischiano di più

Per capire quali lavoratori sono più a rischio, è interessante dare uno sguardo al rapporto pubblicato dal Pew Research Center, l’istituto di ricerca senza scopo di lucro con sede negli Stati Uniti, fondato nel 2004.

Il primo aspetto che emerge è come l’IA, al contrario di altre grandi rivoluzioni, colpisca soprattutto i lavoratori più istruiti e retribuiti.

In tal senso, spingono alla riflessione le analisi di Webb, il quale arriva alla conclusione che le occupazioni altamente qualificate e di conseguenza i lavoratori più istruiti, saranno maggiormente colpiti dall’impiego dell’intelligenza artificiale. Degno di nota anche quanto riportato da Eloundou, Manning, Mishkin e Rock, i quali affermano che l’IA avrà un impatto significativo per circa un lavoratore su cinque.

Bisogna tener presente che finora i cambiamenti tecnologici, automatizzando le attività fisiche, tendevano a sostituire lavori basati sulla sola forza fisica.

L’IA, invece, tende a sostituirsi alle capacità cerebrali umane, andando a modificare soprattutto la vita lavorativa di quelle professioni in cui il pensiero, lo studio e la ricerca hanno un’importanza economica rilevante.

Secondo il rapporto, i lavoratori con una laurea o più (27%) hanno più del doppio delle probabilità rispetto a quelli con solo diploma di scuola superiore (12%) di stare svolgendo un lavoro esposto ai cambiamenti portati dall’IA.

Tuttavia, le previsioni non trovano pieno consenso tra i lavoratori stessi, i quali, per lo più, ritengono che l’intelligenza artificiale li aiuterà più che danneggiarli. Questo perché in molte professioni il valore aggiunto della personalità e dell’esperienza personale, rimane un fattore ancora determinante a livello qualitativo.

Tra i lavoratori più esposti all’IA rientrano tra quelli che svolgono attività come la raccolta d’informazioni e l’analisi dei dati. Ci stiamo riferendo a professioni quali:

  • Analisti di budget
  • Data entry
  • Scrittori di schede tecniche
  • Sviluppatori web

Potrebbe essere lecito chiedersi se i suddetti professionisti riusciranno comunque a trovare uno spazio nel mondo del lavoro.

Come dicevamo in introduzione, nessuno ha una chiara risposta a questa domanda. Da un lato, l’IA integrerà e in parte sostituirà alcune attività svolte dai lavoratori, ma non è ancora chiaro se ciò alla fine creerà nuovi posti di lavoro.

Ad esempio, se da un lato un chatbot può sostituire molteplici compiti svolti da un addetto all’assistenza online, non è detto che il chatbot stesso non porti alla necessità di nuove figure professionali che si occupino di migliorare l’applicativo stesso. Inoltre, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe anche dare un forte impulso all’economia e alla fine arrivare a creare più posti di lavoro.

I lavoratori che rischiano di meno

Andiamo ora alla parte di chi è più al sicuro. Sull’argomento si sono occupate molteplici organizzazioni mediante ricerche, studi e indagini.

In particolare, U.S. Career Institute ha realizzato un grafico riportante ben 65 lavori che non corrono molti rischi di essere sostituiti dalle automazioni.

La classifica è stata stilata mettendo ai primi posti tutti quei lavori che si ritiene oggi un robot o comunque l’IA siano ancor lontani dal replicare.

Queste professioni sono in buona parte legate a quelle che si basano su abilità sociali e relazionali. Secondo la ricerca sopra citata, le professioni che hanno il minor rischio di essere sostituite sono:

  • Infermieri
  • Insegnanti, istruttori
  • Musicisti, artisti
  • Parrucchieri
  • Personal trainer e allenatori
  • Bioingegneri e ingegneri biomedici

Non a caso, la richiesta di infermieri si prevede che crescerà in futuro, addirittura del 45,7% entro il 2032, ma in generale tutte le carriere in ambito medico possono essere oggi una scelta stabile di carriera.

Al sicuro, infine, anche altre professioni che richiedono creatività e abilità sociali, come coreografi, consulenti per la salute mentale e assistenti sociosanitari.

Lavoro e IA tra rischi, opportunità e… Adam Smith

Avviciniamoci alla conclusione di questo approfondimento riportando alcune considerazioni intriganti sul tema dell’IA e del mondo del lavoro che ci hanno particolarmente colpito. La prima proviene da Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

L’agenzia, nel suo rapporto riguardante le sfide, i rischi e le opportunità portate dall’IA nel mondo del lavoro, sostiene che, se ben utilizzata, l’IA può rappresentare un’opportunità che può portare a un miglior utilizzo delle risorse umane.

Tuttavia, pone anche l’attenzione sui rischi come la deteriorazione delle condizioni di lavoro e la perdita di autonomia.

L’agenzia sottolinea che l’intelligenza artificiale e le tecnologie da essa supportate possono apportare vantaggi alle imprese e aiutarle a rimanere competitive a livello globale.

Questo richiede però una forza lavoro digitalmente qualificata e orientata all’apprendimento.

Investire nelle competenze digitali e nell’apprendimento a tutti i livelli del sistema educativo, compreso lo sviluppo professionale continuo e l’apprendimento permanente, potrebbe garantire una proficua collaborazione tra l’uomo e l’IA nell’ambito del mercato del lavoro.

Segnaliamo anche l’intervista recente alla vice direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Gita Gopinath. Gopinath fa un parallelo tra l’IA e la rivoluzione industriale, richiamando le teorie di Adam Smith.

Tra i punti salienti del suo intervento, sottolinea come l’IA potrebbe aumentare la produttività globale e potrebbe automatizzare alcuni compiti cognitivi, dando origine a nuovi lavori ad alta produttività per gli esseri umani.

Gopinath infine invita a porsi la domanda: “Se Adam Smith fosse vivo oggi, come avrebbe risposto all’emergere di questa nuova “mano artificiale”?

Con le macchine che si occupano di compiti di routine e ripetitivi, gli esseri umani potrebbero dedicare più tempo a ciò che li rende unici.

Al momento, tuttavia, ci troviamo ancora nell’ambito delle ipotesi. Il potenziale dell’IA è considerevole ma non è affatto garantito che porti benefici agli esseri umani o che i guadagni siano sufficienti a compensare le perdite. Conclude Gopinath: Tutto è possibile.

Le conclusioni

In conclusione, l’intelligenza artificiale sta portando una rivoluzione nel mondo del business  e nel mercato del lavoro. Questo, però, è l’unico punto sul quale indiscutibilmente  concordano tutti.  

La storia a ben pensare ci ha insegnato come spesso grandi questioni e preoccupazioni si  siano poi risolte in maniera inaspettata, cambiando in modo significativo il corso degli eventi. 

Vi lasciamo con un aneddoto che, a nostro avviso, fa riflettere ed è conosciuto come “The  Great Horse Manure Crisis”, la grande crisi del letame di cavallo.  

A cavallo del XIX e all’inizio del XX secolo, molti economisti in Inghilterra sostenevano che  Londra presto sarebbe stata sommersa dal letame prodotto da migliaia di cavalli presenti in  città.  

Celebre fu uno studio che dimostrava, dati alla mano, come ogni strada sarebbe stata  sepolta sotto nove piedi (circa 2,7 metri) di letame, a meno che una soluzione non fosse  trovata al più presto.  

Uno scenario quasi apocalittico che, come immaginabile, mai si verificò. L’introduzione delle  nuove tecnologie, una su tutte il progressivo aumento delle automobili, semplicemente fece  svanire quello che, agli effetti, fu un allarme sociale che allora sembrava non avere alcun  rimedio. 

Tutto questo suggerisce il motivo per cui avventurarsi in previsioni nette sull’evoluzione di un  fenomeno o di una tecnologia è un arduo compito. Ci possiamo provare ma è il più delle  volte impossibile prevedere esattamente quel che succederà.  

Se hai apprezzato la nostra analisi, ti invitiamo a consultare i contenuti presenti nella  sezione Letture”. Puoi anche iscriverti alla nostra Newsletter per non perderti nemmeno un  insight degli scenari presenti e futuri del mercato in cui operi.

Con un gioco di parole spesso utilizzato dai giovani, potremmo dire che c’è chi teme che l’IA possa sostituire il proprio lavoro e chi mente.

La rivoluzione che stiamo vivendo, bisogna dirlo, ha contorni ancora così poco definiti; nessuno sa bene cosa ci riserverà il futuro.

Di fronte a tale sensazione di incertezza, la rete ci offre contenuti di ogni tipo. Si passa da chi sostiene che non ci sia più bisogno dell’uomo, sollevando dubbi filosofici riguardo all’autorealizzazione personale e al futuro dell’umanità, a teorie decisamente più ottimistiche che prevedono la nascita di una fiorente e proficua collaborazione tra uomo e IA.

La verità nessuno può saperla. Quello che possiamo fare noi di Mudra è analizzare l’attuale stato delle cose, declinando criticamente il fenomeno dell’IA e mettendo a disposizione alcune informazioni e strumenti che possano aiutare a sviluppare un pensiero autonomo su quello che, è inutile negarlo, è un passaggio obbligato.

L’IA nel mondo del lavoro è già realtà

Chiariamo subito un punto: l’IA esiste e molte aziende la stanno già utilizzando. Il recente McKinsey Global Survey conferma che circa un terzo delle organizzazioni utilizza regolarmente l’intelligenza artificiale in almeno una funzione aziendale. Inoltre, il 40% degli intervistati prevede di aumentare gli investimenti in tecnologie basate sull’IA.

Infine, gli intervistati prevedono cambiamenti praticamente certi per la forza lavoro, aprendo così il tema della riqualificazione del personale, una questione di cui si parla ormai da un decennio.

Dallo studio McKinsey emerge anche che l’intelligenza artificiale, anche nella sua versione generativa, sta trovando ampia applicazione in ambiti come:

  • Marketing e vendite
  • Sviluppo prodotti
  • Assistenza al cliente
  • Attività di back office

In particolare, l’IA viene utilizzata oggi per il crafting di bozze o documenti di testo, marketing personalizzato, identificazione di tendenze, creazione di nuovi design di prodotto, chatbot e previsione di trend.

E per quanto riguarda il mondo del lavoro? È ancora la società newyorkese McKinsey a prevedere che alcuni settori vedranno un’adozione massiccia di questi tool, come ad esempio il settore bancario, medico e assicurativo. Altri, invece, potrebbero utilizzarla poco o per niente.

È bene tenere presente che, nonostante l’adozione crescente di sistemi basati sull’IA, ci sono ancora diverse sfide da superare completamente. Bisogna risolvere i problemi legati all’inaccuratezza delle risposte/soluzioni talvolta fornite dall’IA e capire come evitare di infrangere la proprietà intellettuale o violare la privacy degli individui.

Infine, l’impossibilità di replicare qualità umane come la fantasia, l’immaginazione, la capacità di discernimento, legata all’esperienza e vissuto personale, rende alcuni prodotti dell’IA meno impattanti, anche se tecnicamente corretti.

I lavoratori che rischiano di più

Per capire quali lavoratori sono più a rischio, è interessante dare uno sguardo al rapporto pubblicato dal Pew Research Center, l’istituto di ricerca senza scopo di lucro con sede negli Stati Uniti, fondato nel 2004.

Il primo aspetto che emerge è come l’IA, al contrario di altre grandi rivoluzioni, colpisca soprattutto i lavoratori più istruiti e retribuiti.

In tal senso, spingono alla riflessione le analisi di Webb, il quale arriva alla conclusione che le occupazioni altamente qualificate e di conseguenza i lavoratori più istruiti, saranno maggiormente colpiti dall’impiego dell’intelligenza artificiale. Degno di nota anche quanto riportato da Eloundou, Manning, Mishkin e Rock, i quali affermano che l’IA avrà un impatto significativo per circa un lavoratore su cinque.

Bisogna tener presente che finora i cambiamenti tecnologici, automatizzando le attività fisiche, tendevano a sostituire lavori basati sulla sola forza fisica.

L’IA, invece, tende a sostituirsi alle capacità cerebrali umane, andando a modificare soprattutto la vita lavorativa di quelle professioni in cui il pensiero, lo studio e la ricerca hanno un’importanza economica rilevante.

Secondo il rapporto, i lavoratori con una laurea o più (27%) hanno più del doppio delle probabilità rispetto a quelli con solo diploma di scuola superiore (12%) di stare svolgendo un lavoro esposto ai cambiamenti portati dall’IA.

Tuttavia, le previsioni non trovano pieno consenso tra i lavoratori stessi, i quali, per lo più, ritengono che l’intelligenza artificiale li aiuterà più che danneggiarli. Questo perché in molte professioni il valore aggiunto della personalità e dell’esperienza personale, rimane un fattore ancora determinante a livello qualitativo.

Tra i lavoratori più esposti all’IA rientrano tra quelli che svolgono attività come la raccolta d’informazioni e l’analisi dei dati. Ci stiamo riferendo a professioni quali:

  • Analisti di budget
  • Data entry
  • Scrittori di schede tecniche
  • Sviluppatori web

Potrebbe essere lecito chiedersi se i suddetti professionisti riusciranno comunque a trovare uno spazio nel mondo del lavoro.

Come dicevamo in introduzione, nessuno ha una chiara risposta a questa domanda. Da un lato, l’IA integrerà e in parte sostituirà alcune attività svolte dai lavoratori, ma non è ancora chiaro se ciò alla fine creerà nuovi posti di lavoro.

Ad esempio, se da un lato un chatbot può sostituire molteplici compiti svolti da un addetto all’assistenza online, non è detto che il chatbot stesso non porti alla necessità di nuove figure professionali che si occupino di migliorare l’applicativo stesso. Inoltre, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe anche dare un forte impulso all’economia e alla fine arrivare a creare più posti di lavoro.

I lavoratori che rischiano di meno

Andiamo ora alla parte di chi è più al sicuro. Sull’argomento si sono occupate molteplici organizzazioni mediante ricerche, studi e indagini.

In particolare, U.S. Career Institute ha realizzato un grafico riportante ben 65 lavori che non corrono molti rischi di essere sostituiti dalle automazioni.

La classifica è stata stilata mettendo ai primi posti tutti quei lavori che si ritiene oggi un robot o comunque l’IA siano ancor lontani dal replicare.

Queste professioni sono in buona parte legate a quelle che si basano su abilità sociali e relazionali. Secondo la ricerca sopra citata, le professioni che hanno il minor rischio di essere sostituite sono:

  • Infermieri
  • Insegnanti, istruttori
  • Musicisti, artisti
  • Parrucchieri
  • Personal trainer e allenatori
  • Bioingegneri e ingegneri biomedici

Non a caso, la richiesta di infermieri si prevede che crescerà in futuro, addirittura del 45,7% entro il 2032, ma in generale tutte le carriere in ambito medico possono essere oggi una scelta stabile di carriera.

Al sicuro, infine, anche altre professioni che richiedono creatività e abilità sociali, come coreografi, consulenti per la salute mentale e assistenti sociosanitari.

Lavoro e IA tra rischi, opportunità e… Adam Smith

Avviciniamoci alla conclusione di questo approfondimento riportando alcune considerazioni intriganti sul tema dell’IA e del mondo del lavoro che ci hanno particolarmente colpito. La prima proviene da Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

L’agenzia, nel suo rapporto riguardante le sfide, i rischi e le opportunità portate dall’IA nel mondo del lavoro, sostiene che, se ben utilizzata, l’IA può rappresentare un’opportunità che può portare a un miglior utilizzo delle risorse umane.

Tuttavia, pone anche l’attenzione sui rischi come la deteriorazione delle condizioni di lavoro e la perdita di autonomia.

L’agenzia sottolinea che l’intelligenza artificiale e le tecnologie da essa supportate possono apportare vantaggi alle imprese e aiutarle a rimanere competitive a livello globale.

Questo richiede però una forza lavoro digitalmente qualificata e orientata all’apprendimento.

Investire nelle competenze digitali e nell’apprendimento a tutti i livelli del sistema educativo, compreso lo sviluppo professionale continuo e l’apprendimento permanente, potrebbe garantire una proficua collaborazione tra l’uomo e l’IA nell’ambito del mercato del lavoro.

Segnaliamo anche l’intervista recente alla vice direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Gita Gopinath. Gopinath fa un parallelo tra l’IA e la rivoluzione industriale, richiamando le teorie di Adam Smith.

Tra i punti salienti del suo intervento, sottolinea come l’IA potrebbe aumentare la produttività globale e potrebbe automatizzare alcuni compiti cognitivi, dando origine a nuovi lavori ad alta produttività per gli esseri umani.

Gopinath infine invita a porsi la domanda: “Se Adam Smith fosse vivo oggi, come avrebbe risposto all’emergere di questa nuova “mano artificiale”?

Con le macchine che si occupano di compiti di routine e ripetitivi, gli esseri umani potrebbero dedicare più tempo a ciò che li rende unici.

Al momento, tuttavia, ci troviamo ancora nell’ambito delle ipotesi. Il potenziale dell’IA è considerevole ma non è affatto garantito che porti benefici agli esseri umani o che i guadagni siano sufficienti a compensare le perdite. Conclude Gopinath: Tutto è possibile.

Le conclusioni

In conclusione, l’intelligenza artificiale sta portando una rivoluzione nel mondo del business  e nel mercato del lavoro. Questo, però, è l’unico punto sul quale indiscutibilmente  concordano tutti.  

La storia a ben pensare ci ha insegnato come spesso grandi questioni e preoccupazioni si  siano poi risolte in maniera inaspettata, cambiando in modo significativo il corso degli eventi. 

Vi lasciamo con un aneddoto che, a nostro avviso, fa riflettere ed è conosciuto come “The  Great Horse Manure Crisis”, la grande crisi del letame di cavallo.  

A cavallo del XIX e all’inizio del XX secolo, molti economisti in Inghilterra sostenevano che  Londra presto sarebbe stata sommersa dal letame prodotto da migliaia di cavalli presenti in  città.  

Celebre fu uno studio che dimostrava, dati alla mano, come ogni strada sarebbe stata  sepolta sotto nove piedi (circa 2,7 metri) di letame, a meno che una soluzione non fosse  trovata al più presto.  

Uno scenario quasi apocalittico che, come immaginabile, mai si verificò. L’introduzione delle  nuove tecnologie, una su tutte il progressivo aumento delle automobili, semplicemente fece  svanire quello che, agli effetti, fu un allarme sociale che allora sembrava non avere alcun  rimedio. 

Tutto questo suggerisce il motivo per cui avventurarsi in previsioni nette sull’evoluzione di un  fenomeno o di una tecnologia è un arduo compito. Ci possiamo provare ma è il più delle  volte impossibile prevedere esattamente quel che succederà.  

Se hai apprezzato la nostra analisi, ti invitiamo a consultare i contenuti presenti nella  sezione Letture”. Puoi anche iscriverti alla nostra Newsletter per non perderti nemmeno un  insight degli scenari presenti e futuri del mercato in cui operi.