Le nuove regole di accesso alla GDO per i piccoli produttori
Le nuove regole di accesso alla GDO per i piccoli produttori

Con l’evolversi dei bisogni dei consumatori, anche la GDO si è trovata a fare i conti con tematiche valoriali, di sostenibilità e usabilità dei prodotti, cambiando completamente le proprie logiche di selezione dell’offerta.

Un nuovo mass market in cui, a fianco dei brand storici, trovano spazio nuove figure dell’industria. Un trend che, da un lato, offre nuove opportunità a molti player emergenti, ma, dall’altro, genera anche fraintendimenti e un pericoloso approccio superficiale alle strategie di ingresso.

Le nuove logiche di ingresso in GDO

Purtroppo, ahimè, si pensa che basti un agente di rappresentanza ben posizionato e con le “entrature” giuste, e il gioco è fatto. Non è così.

Innanzitutto, è doveroso considerare quanto la competition sia “sanguinosa” e l’offerta satura. Il buyer, anche quando animato da buone intenzioni verso un potenziale fornitore, prima di fargli spazio sullo scaffale, si trova costretto a considerare quanto la sua proposta sia “vendibile” al consumatore. Ma, a quale consumatore?

In un mercato sempre più verticalizzato, le insegne dei supermercati sono simili tra loro solo in apparenza; in realtà, presentano sostanziali differenze, proprio perché, anche per loro, la fidelizzazione è diventata un tema cardine. Un’offerta generalista non è più in grado di competere con la comodità dei nuovi servizi di grocery delivery o con la qualità di alcuni produttori di nicchia. La capacità dei consumatori di scegliere la tipologia di prodotto che desiderano acquistare in base a una quantità sempre maggiore di parametri (valori, gusto, filiera, status…), costringe le insegne GDO a ripensare anche sé stesse come allineate ad abitudini e valori molto specifici. È quindi su specifiche tipologie di consumatori che si concentrerà il nostro buyer, scegliendo i fornitori in base alla loro capacità di allinearsi ai valori e alla proposta della catena e di rispondere a uno specifico bisogno in modo efficace, garantendo uno scaffale remunerativo in termini sia economici sia di rotazione (qualità e quantità).

La conclusione, apparentemente non così ovvia, di questo ragionamento è che il vero interlocutore chiave per posizionarsi sullo scaffale, non è il buyer o il manager dell’ insegna GDO, ma i loro clienti.

Comprendere i limiti per sfruttare l’opportunità

Questa nuova logica di selezione permette ad aziende di medie dimensioni, di accedere a una rete di distribuzione fino a pochi anni fa a loro preclusa e pianificare una crescita contando sul posizionamento della propria gamma in qualche grande insegna. Purtroppo però, molti tendono a concentrarsi eccessivamente sul rapporto con il buyer, trascurando tutti quegli aspetti estetici e valoriali, ma anche logistici e organizzativi, che lo condizionano.

Prima di ipotizzare un posizionamento in GDO, serve fare un’analisi realistica e molto onesta di come ci si presenta. Siamo un’azienda solida? Siamo in grado di garantire puntualità e affidabilità nelle consegne? Il buyer con cui stiamo parlando rappresenta una catena allineata con la natura del nostro prodotto?  Una prima valutazione da parte del buyer sarà concentrata proprio su questi aspetti.

In secondo luogo, occorre togliersi dalla testa l’idea di competere con i leader di mercato. Nonostante sia allettante sperare di “rubacchiare” quote ai grandi brand, puntare su questo obiettivo equivale nella maggior parte dei casi ad un suicidio. Il buyer non rinuncerà a nessuno spazio sullo scaffale che gli garantisce la massima rotazione possibile. A parità di prezzo, salvo promesse di prestazioni particolarmente distintive, il consumatore tenderà a prediligere comunque il prodotto dei top brand, più noto e potente a livello di innovazione e promessa di marca.

La carta vincente dei piccoli produttori

Molti produttori, specialmente food e beauty, approcciano la GDO tentando di offrire un assortimento più trasversale o una produzione il più massimizzata possibile (magari rinunciando a qualche elemento qualitativo), snaturandosi e forzando le proprie capacità produttive pur di riuscire ad affiancarsi ai grandi marchi. Di fatto, questo approccio svaluta il loro vero elemento differenziante: la verticalità dell’offerta.

La capacità di differenziarsi posizionandosi in una nicchia esistente, o addirittura creandone una nuova, permette di offrire una gamma che nessuno dei top brand è in grado di servire in modo altrettanto specifico.

Il consumatore potrà, ad esempio, trovare un opzione vegana promossa dal proprio brand di fiducia, ma sarà facilmente portato a valutare la nuova offerta del piccolo competitor che ha scelto di rispondere in modo specifico al suo bisogno; a maggior ragione se troverà associato all’alimento anche un packaging sostenibile e altri prodotti complementari e coerenti con quello che sta cercando.

I piccoli produttori possono inoltre contare sulla propria capacità di proiettare nella grande distribuzione una percezione di familiarità, proponendo in un luogo comodo ai consumatori la stessa cura e vicinanza che troverebbero in marketplace verticali o piccole botteghe di fiducia.

Per il set up di una proposta alla GDO occorre una visione ad ampio spettro:

L’aspetto del prodotto, la promessa di marca, la qualità intrinseca e, soprattutto, un posizionamento coerente e differenziante, curato con la stessa cura con cui, ognuno di noi, sceglie ogni giorno i prodotti dallo scaffale.

 

 

Con l’evolversi dei bisogni dei consumatori, anche la GDO si è trovata a fare i conti con tematiche valoriali, di sostenibilità e usabilità dei prodotti, cambiando completamente le proprie logiche di selezione dell’offerta.

Un nuovo mass market in cui, a fianco dei brand storici, trovano spazio nuove figure dell’industria. Un trend che, da un lato, offre nuove opportunità a molti player emergenti, ma, dall’altro, genera anche fraintendimenti e un pericoloso approccio superficiale alle strategie di ingresso.

Le nuove logiche di ingresso in GDO

Purtroppo, ahimè, si pensa che basti un agente di rappresentanza ben posizionato e con le “entrature” giuste, e il gioco è fatto. Non è così.

Innanzitutto, è doveroso considerare quanto la competition sia “sanguinosa” e l’offerta satura. Il buyer, anche quando animato da buone intenzioni verso un potenziale fornitore, prima di fargli spazio sullo scaffale, si trova costretto a considerare quanto la sua proposta sia “vendibile” al consumatore. Ma, a quale consumatore?

In un mercato sempre più verticalizzato, le insegne dei supermercati sono simili tra loro solo in apparenza; in realtà, presentano sostanziali differenze, proprio perché, anche per loro, la fidelizzazione è diventata un tema cardine. Un’offerta generalista non è più in grado di competere con la comodità dei nuovi servizi di grocery delivery o con la qualità di alcuni produttori di nicchia. La capacità dei consumatori di scegliere la tipologia di prodotto che desiderano acquistare in base a una quantità sempre maggiore di parametri (valori, gusto, filiera, status…), costringe le insegne GDO a ripensare anche sé stesse come allineate ad abitudini e valori molto specifici. È quindi su specifiche tipologie di consumatori che si concentrerà il nostro buyer, scegliendo i fornitori in base alla loro capacità di allinearsi ai valori e alla proposta della catena e di rispondere a uno specifico bisogno in modo efficace, garantendo uno scaffale remunerativo in termini sia economici sia di rotazione (qualità e quantità).

La conclusione, apparentemente non così ovvia, di questo ragionamento è che il vero interlocutore chiave per posizionarsi sullo scaffale, non è il buyer o il manager dell’ insegna GDO, ma i loro clienti.

Comprendere i limiti per sfruttare l’opportunità

Questa nuova logica di selezione permette ad aziende di medie dimensioni, di accedere a una rete di distribuzione fino a pochi anni fa a loro preclusa e pianificare una crescita contando sul posizionamento della propria gamma in qualche grande insegna. Purtroppo però, molti tendono a concentrarsi eccessivamente sul rapporto con il buyer, trascurando tutti quegli aspetti estetici e valoriali, ma anche logistici e organizzativi, che lo condizionano.

Prima di ipotizzare un posizionamento in GDO, serve fare un’analisi realistica e molto onesta di come ci si presenta. Siamo un’azienda solida? Siamo in grado di garantire puntualità e affidabilità nelle consegne? Il buyer con cui stiamo parlando rappresenta una catena allineata con la natura del nostro prodotto?  Una prima valutazione da parte del buyer sarà concentrata proprio su questi aspetti.

In secondo luogo, occorre togliersi dalla testa l’idea di competere con i leader di mercato. Nonostante sia allettante sperare di “rubacchiare” quote ai grandi brand, puntare su questo obiettivo equivale nella maggior parte dei casi ad un suicidio. Il buyer non rinuncerà a nessuno spazio sullo scaffale che gli garantisce la massima rotazione possibile. A parità di prezzo, salvo promesse di prestazioni particolarmente distintive, il consumatore tenderà a prediligere comunque il prodotto dei top brand, più noto e potente a livello di innovazione e promessa di marca.

La carta vincente dei piccoli produttori

Molti produttori, specialmente food e beauty, approcciano la GDO tentando di offrire un assortimento più trasversale o una produzione il più massimizzata possibile (magari rinunciando a qualche elemento qualitativo), snaturandosi e forzando le proprie capacità produttive pur di riuscire ad affiancarsi ai grandi marchi. Di fatto, questo approccio svaluta il loro vero elemento differenziante: la verticalità dell’offerta.

La capacità di differenziarsi posizionandosi in una nicchia esistente, o addirittura creandone una nuova, permette di offrire una gamma che nessuno dei top brand è in grado di servire in modo altrettanto specifico.

Il consumatore potrà, ad esempio, trovare un opzione vegana promossa dal proprio brand di fiducia, ma sarà facilmente portato a valutare la nuova offerta del piccolo competitor che ha scelto di rispondere in modo specifico al suo bisogno; a maggior ragione se troverà associato all’alimento anche un packaging sostenibile e altri prodotti complementari e coerenti con quello che sta cercando.

I piccoli produttori possono inoltre contare sulla propria capacità di proiettare nella grande distribuzione una percezione di familiarità, proponendo in un luogo comodo ai consumatori la stessa cura e vicinanza che troverebbero in marketplace verticali o piccole botteghe di fiducia.

Per il set up di una proposta alla GDO occorre una visione ad ampio spettro:

L’aspetto del prodotto, la promessa di marca, la qualità intrinseca e, soprattutto, un posizionamento coerente e differenziante, curato con la stessa cura con cui, ognuno di noi, sceglie ogni giorno i prodotti dallo scaffale.