Ha ancora senso parlare di posizionamento di marca?
Ha ancora senso parlare di posizionamento di marca?

Ho dedicato tanti anni a fare ricerca, consulenza e docenza in ambito posizionamento di marca. Mi hanno chiesto più volte di scrivere un libro sul riposizionamento (rebranding), la competenza per cui sono più conosciuta, però come spesso accade, i tempi corrono rapidi rispetto alla disciplina e oggi mi trovo a fare un ragionamento che mette in discussione gran parte del lavoro di una vita.

Quando nel 1993 Al Ries e Jack Trout scrissero “Le 22 immutabili leggi del marketing”, di fatto portarono all’attenzione del grande pubblico la necessità di comunicare attraverso pochi messaggi, ma molto focalizzati, possibilmente concentrando il proprio business su una sola linea ben definita.

Se negli anni ’90 questo approccio era sufficiente per fare emergere un prodotto nella jungla del mercato, oggi – con buona pace di coloro che elevano quel testo a Bibbia della professione – il posizionamento strategico (o brand positioning) ha perso molto di significato ed è dovere di ogni professionista mettere in discussione le proprie convinzioni.

Oceano Blu, Mucca Viola, 22 Immutabili Leggi, ecc… manuali che esprimono lo stesso concetto, ma con parole diverse: trova una cosa che non ha fatto nessuno e falla, oppure comunica in modo diverso e più verticale ciò che già fai. Peccato che quando sono stati redatti questi volumi, nel mondo c’erano circa 122 milioni di aziende, a oggi ne abbiamo più di 210 milioni.
Ma non solo. Nel 1994 erano online 3.000 siti web. Nel 2000 erano già 17 milioni. Oggi sono 1.8 MILIARDI.

Infographic: How Many Websites Are There? | Statista

 

Senza contare i profili social aziendali. Riusciamo a fare una comunicazione unica al mondo per 1.8 miliardi di siti? Decisamente no. Possiamo avere 210 milioni di aziende altamente verticali o perfettamente differenziate? Difficile.

Allora ha ancora senso parlare di posizionamento di marca?

No, il posizionamento è diventato superfluo rispetto ai veri driver dei consumatori, soprattutto di quelli che appartengono alle nuove generazioni.
Un po’ come la qualità è passata da differenziante a scontata e se osservate con attenzione il concetto di “sostenibilità” sta compiendo in tempi molto più rapidi lo stesso percorso, anche il posizionamento non è più una strategia per emergere, ma una buona norma di gestione aziendale al pari dell’ottimizzazione dei processi o della digitalizzazione. Poi si può scegliere sempre di rimanere cristallizzati negli anni ’80, a proprio rischio e pericolo, ma questo è un altro film.

Alla base delle scelte d’acquisto odierne regnano sovrane due parole chiave: esperienza e intrattenimento.

Come cantava Califano, tutto il resto è noia.

La cara vecchia customer journey – in cui il potenziale acquirente si muoveva cauto in tempi dilatati attraverso il percorso che dalla percezione del bisogno portava all’acquisto – è una buona base per mettere nero su bianco i punti di contatto (touchpoint) tra brand e consumatore, ma ne vanno ripensate le logiche.

Se prima ogni passo doveva rispondere alla domanda “posso davvero contare su di te per soddisfare il mio bisogno?”, oggi l’interrogativo è più simile a “quanto sarà stimolante avere a che fare con te mentre soddisfi il mio bisogno?“.

Oggi è piuttosto netta la separazione tra il ciarpame e un prodotto accettabile e i consumatori sono molto più informati rispetto al passato. Non dico che sappiano esattamente cosa vogliono, ma sanno cosa vogliono ottenere. E sono consapevoli del fatto che – si tratti di un telefono nuovo o di una consulenza – là fuori ci sono centinaia o migliaia di alternative valide, ma solo pochi potranno garantire un’esperienza piacevole e frictionless.

Il nuovo posizionamento è l’esperienza

Questa è la vera discriminante di scelta. Quanto è facile comprarti, quanto sei bravo ad assistermi, quanto è semplice entrare in contatto con te o con il tuo servizio clienti, quanto è stato divertente fruire dei tuoi contenuti? E il prezzo? Non è un problema. Anche perché stiamo assistendo a un progressivo allineamento degli importi da corrispondere per prodotti e servizi, altra dinamica molto differente rispetto a ciò che accadeva ormai 20/30 anni fa.

Anche se non ci sembra, abbiamo molto più potere d’acquisto rispetto a un tempo. E diamo sempre più valore – anche economico – a come ci sentiamo mentre spendiamo i nostri soldi. Desideriamo, acquistiamo, regaliamo momenti quanto più possibile appaganti, meglio ancora se indimenticabili.

Se le battaglie del passato erano a colpi di parole, quelle del presente e del futuro sono a colpi di emozione. E tu, come posizioni la tua brand experience?

Ho dedicato tanti anni a fare ricerca, consulenza e docenza in ambito posizionamento di marca. Mi hanno chiesto più volte di scrivere un libro sul riposizionamento (rebranding), la competenza per cui sono più conosciuta, però come spesso accade, i tempi corrono rapidi rispetto alla disciplina e oggi mi trovo a fare un ragionamento che mette in discussione gran parte del lavoro di una vita.

Quando nel 1993 Al Ries e Jack Trout scrissero “Le 22 immutabili leggi del marketing”, di fatto portarono all’attenzione del grande pubblico la necessità di comunicare attraverso pochi messaggi, ma molto focalizzati, possibilmente concentrando il proprio business su una sola linea ben definita.

Se negli anni ’90 questo approccio era sufficiente per fare emergere un prodotto nella jungla del mercato, oggi – con buona pace di coloro che elevano quel testo a Bibbia della professione – il posizionamento strategico (o brand positioning) ha perso molto di significato ed è dovere di ogni professionista mettere in discussione le proprie convinzioni.

Oceano Blu, Mucca Viola, 22 Immutabili Leggi, ecc… manuali che esprimono lo stesso concetto, ma con parole diverse: trova una cosa che non ha fatto nessuno e falla, oppure comunica in modo diverso e più verticale ciò che già fai. Peccato che quando sono stati redatti questi volumi, nel mondo c’erano circa 122 milioni di aziende, a oggi ne abbiamo più di 210 milioni.
Ma non solo. Nel 1994 erano online 3.000 siti web. Nel 2000 erano già 17 milioni. Oggi sono 1.8 MILIARDI.

Infographic: How Many Websites Are There? | Statista

 

Senza contare i profili social aziendali. Riusciamo a fare una comunicazione unica al mondo per 1.8 miliardi di siti? Decisamente no. Possiamo avere 210 milioni di aziende altamente verticali o perfettamente differenziate? Difficile.

Allora ha ancora senso parlare di posizionamento di marca?

No, il posizionamento è diventato superfluo rispetto ai veri driver dei consumatori, soprattutto di quelli che appartengono alle nuove generazioni.
Un po’ come la qualità è passata da differenziante a scontata e se osservate con attenzione il concetto di “sostenibilità” sta compiendo in tempi molto più rapidi lo stesso percorso, anche il posizionamento non è più una strategia per emergere, ma una buona norma di gestione aziendale al pari dell’ottimizzazione dei processi o della digitalizzazione. Poi si può scegliere sempre di rimanere cristallizzati negli anni ’80, a proprio rischio e pericolo, ma questo è un altro film.

Alla base delle scelte d’acquisto odierne regnano sovrane due parole chiave: esperienza e intrattenimento.

Come cantava Califano, tutto il resto è noia.

La cara vecchia customer journey – in cui il potenziale acquirente si muoveva cauto in tempi dilatati attraverso il percorso che dalla percezione del bisogno portava all’acquisto – è una buona base per mettere nero su bianco i punti di contatto (touchpoint) tra brand e consumatore, ma ne vanno ripensate le logiche.

Se prima ogni passo doveva rispondere alla domanda “posso davvero contare su di te per soddisfare il mio bisogno?”, oggi l’interrogativo è più simile a “quanto sarà stimolante avere a che fare con te mentre soddisfi il mio bisogno?“.

Oggi è piuttosto netta la separazione tra il ciarpame e un prodotto accettabile e i consumatori sono molto più informati rispetto al passato. Non dico che sappiano esattamente cosa vogliono, ma sanno cosa vogliono ottenere. E sono consapevoli del fatto che – si tratti di un telefono nuovo o di una consulenza – là fuori ci sono centinaia o migliaia di alternative valide, ma solo pochi potranno garantire un’esperienza piacevole e frictionless.

Il nuovo posizionamento è l’esperienza

Questa è la vera discriminante di scelta. Quanto è facile comprarti, quanto sei bravo ad assistermi, quanto è semplice entrare in contatto con te o con il tuo servizio clienti, quanto è stato divertente fruire dei tuoi contenuti? E il prezzo? Non è un problema. Anche perché stiamo assistendo a un progressivo allineamento degli importi da corrispondere per prodotti e servizi, altra dinamica molto differente rispetto a ciò che accadeva ormai 20/30 anni fa.

Anche se non ci sembra, abbiamo molto più potere d’acquisto rispetto a un tempo. E diamo sempre più valore – anche economico – a come ci sentiamo mentre spendiamo i nostri soldi. Desideriamo, acquistiamo, regaliamo momenti quanto più possibile appaganti, meglio ancora se indimenticabili.

Se le battaglie del passato erano a colpi di parole, quelle del presente e del futuro sono a colpi di emozione. E tu, come posizioni la tua brand experience?